Faust

Nel corso del triennio 2000-2002 Lenz Rifrazioni ha elaborato la trasduzione delle tre stesure dell'opera goethiana.

Dal monumento drammatico faustiano la Compagnia ha assunto il plasma scenico per dipingere sulla scena il proprio autoritratto artistico.

La Trilogia Faustiana è la biografia morale dell'estetica e della poetica di Lenz Rifrazioni, che nel compimento dell'indagine sul Faust formalizza il ruolo e la funzione degli attori sensibili, eroi della resurrezione del teatro contemporaneo, capaci di incarnare nuove figurazioni di bellezza e nuove altitudini della poesia umana.

"Nutriti dalla marcescenza della colonna classica, abbiamo radicato con cronica passione nella cervice hölderliniana, nell'encefalo kleistiano, nella corteccia shakespeariana, per ramificare nel tronco curvo della dorsale faustiana. Ossatura ardita di ricami marmorei e costolature volanti, pulpito per oratorie fisiche e nervature verbali, è balaustra assai adorna per il predicatore del teatro. Il demone faustiano rifulge nelle membra trasognate e nelle menti prepotenti di sragione.
Nuove figurazioni alla bellezza, estasi insperate di muscoli contratti, melodie inaudite di sorrisi fuor di senso, comandano con cruda e dura legge la vera perfezione del nostro Puppenfaust. Il corpo fastigio del pensiero turrito è il pinnacolo aguzzo del tormento faustiano. Anamorfosi amorose serrano la scena neoclassica, occlusa visione della cacciata dell'angelo precipitato dal paradiso alla brandina infernale. Solo ai sofferenti la corona di salvezza."

Ad avviare nel 2000 il progetto drammaturgico è la messinscena dell' Urfaust. Memorabile la mise-en-espace al Teatro Farnese di Parma che potenziava l'originarietà tragico-mitica delle figure chiave del corpus faustiano, Helena, Ifigenia, Filemone e Baucide. Ed è proprio il continuo rispecchiarsi del monumento popolare incarnato dalla passione amorosa di Margrete nella fantasmagoria classica popolata dai corpi mitici del presente ha sostanziare il senso della ricerca - lo streben - di Faust. Un ricercare l'esperienza carnale del ringiovanimento, del sogno dell'infinita energia, dell'ininterrotto sentirsi vivi, nel Faust I, per spingersi nel Faust II fino al confine dell'esistenza, oltrepassandola attraverso la parola poetica per esperire da vivi l'impotenza, la malattia, la vecchiaia, la morte, prezzo estremo per il raggiungimento della visione dell'amore supremo, l'alito freddo del divino.


DALL’URFAUST AL POSTFAUST
di Francesco Pititto

"Maschere e marionette, tutto il Faust II è anche un recupero del Puppenspiel infantile; non appena del senso dell’armoniosa ironia – quella che Croce, con il suo programmatico ottimismo soprapposto alla tentazione della decadente angoscia, voleva vedere a tutti i costi diffusa e non solo nell’ultima scena – ma in quello di una giustapposizione continua di apparenza umana e di apparenza inumana, a tutti i livelli, nelle féeries e fantasmagorie ma anche nelle tensioni tragiche e liriche. A mutamenti di identità tutti, non solo Faust e Mefistofele, sono sottoposti; anche l’Imperatore, Elena, Homunculus, Euforione, la stessa Margherita, i luoghi, i paesaggi; persino la scena di Filemone e Bauci è la sintetica tragedia d’una lunga e fatale metamorfosi. Ora accade che, di volta in volta e di verso in verso, ora questo ora quel personaggio o portatore di parola o immagine o metafora si stacchino dalla congerie della deformazione stilizzata, dal suo processo parodico, per porgere elementi di immediatezza (di apparente immediatezza), di vitalità e freschezza, come la presenza di un corpo nudo fra manichini, di un volto senza maschera fra maschere. In realtà si tratta di una organizzata illusione ottica: perché il falso e il vero si scambiano di continuo le parti."

L’introduzione di Franco Fortini al Faust, da lui integralmente tradotto, ci è riapparsa a posteriori – già nata, quindi, la traduzione scenica – come la più chiara analisi critica della nostra messa in scena. Il suo Faust ha accompagnato verso dopo verso la selezione e la riscrittura delle parti utilizzate per la nostra drammaturgia. La riscrittura risente evidentemente del metodo della "traduzione immaginaria" di cui parla Fortini, e da cui si distanzia nell’introduzione al suo lavoro, ma la metamorfosi necessaria alla parola affinché si trasmutasse in parola-opera ha condizionato modi e obiettivi del nostro testo. La nostra traduzione appartiene solo alla nostra scena, non avrebbe avuto senso altrove.


Così facendo, "l’effetto di risonanza o la nostalgia dell’originale" riteniamo di averli, comunque, mantenuti integri nella parola degli attori, come nei loro corpi e nelle loro trasfigurazioni contemporanee.

Il nostro Urfaust contiene già tutti gli elementi drammatici che saranno poi rigenerati nel Faust 1 e nel Faust 2; diversamente dall’originale, queste due parti non li ripeteranno ma li ripresenteranno a mutamento già avvenuto, qualche volta li anticiperanno oppure in altre parti li modificheranno.

Così per Elena tragico-classica, apparsa in duplice simulacro con Helena tragico-romantica nell’Ur, rientrare nel Faust 2 insieme a Paride ha significato fare ritorno al proprio luogo originario per sperimentare, praticandola, la potenza della propria bellezza: "E’ forse un ricordo?/E’ follia questa che mi prende?/Sono stata tutto questo? Lo sono, adesso?/Sarò così domani?/Dimmi tu una parola, una sola che abbia senso!" Le sue parole saranno però quelle del suo doppio romantico, l’Elena tragica - "Appena nata ero già un miracolo./Gli altri nascono come sempre, io no. Sono nata in un uovo bianco./La mia vita è un sogno, una magia, perché sono bella." – ha liberato l’altra, in lei si è compenetrata per farsi di nuovo rapire.

Così per Margrete nel Faust 1 non ci sarà un nuovo incontro con il giovane Faust – "Faust: Mia carina signorina, posso osare/il mio braccio a far da scorta e il suo portare? Margrete: Non sono signorina né carina/e posso senza scorta a casa andare." – ma la morte del bambino (anticipata dalla fiaba), la follia e il carcere dell’Ur la porteranno, già mutata dalla vita, prima a cantare ancora al suo Faust già vecchio – "C'era un Re a Thule,/d'oro un boccale aveva/concepito d'amante/sua la Morte sopra il Letto." - e poi a danzare per gli avventori dell’oscena cantina di Auerbach.

Nel Faust 2 riapparirà, poi, come "Una delle penitenti, chiamata prima Gretchen": "Intorno il coro degli spiriti/Il nuovo che viene si sente appena/Esistere, appena è la nuova/Vita che esiste, e già è uguale/Alle schiere sante. Vedilo,/come dai lacci di terra,/dall’antico costume si spoglia/e dal nuovo, dall’etere riesca/la forza prima di gioventù!/Fa che io gli insegni:/il giorno nuovo brucia ancora gli occhi suoi."

Così per File e Bau, già presenti nell’Ur, la trasfigurazione sarà per nuovi corpi d’attore, nuovi paesaggi scenici in cui i chiaro-scuri dell’originario tragico assumeranno, qui, i colori vivaci di una contemporaneità post-pop e disneyana. Nel caos immaginifico e fantasmagorico del Faust II, così aderente all’affresco di Goethe, entrerà per intenzionale vendetta postuma e nostalgia degli streben giovanili un frammento dell’Iperione di Friedrich Hölderlin:"Che cosa è l’uomo?/Com’è possibile che esista/Una cosa/che fermenta, e bolle come un caos!/O che diventa marcio come un albero marcio?/E mai è maturo./Come può Natura sopportare/Quest’uva acida/Proprio in mezzo alle dolci uve? - Non disturbate l’uomo./Sin dalla culla./Non strappatelo dalla sua gemma chiusa,/non strappatelo dalla sua capanna di bambino!/Non preoccupatevi di lui, perché non senta la vostra assenza/E così da solo trovi la sua differenza!"

La "Dedica", non situata all’inizio dell’opera ma all’inizio del Faust II, ripartirà invece da quel Puppenfaust di cui parla Fortini. E’ un ripartire da capo a metà del cammino, il risveglio di Faust per l’ultimo volo all’indietro: "Voi di nuovo qui, figure mosse/che un giorno al mio occhio siete apparse./Cerco io, forse adesso, di dirvi "Halt"?/Sarà il cuore mio come i sogni di una volta?"

Poi Ariel, che chiudeva il Faust 1, riaprirà al paesaggio nuovo, alla nuova impresa verso il Palazzo dell’Imperatore, verso la Galleria Oscura dove Faust incontrerà le Madri e la Chiave per riscoprire la bellezza nuova, la fisicità dell’anima, il sentimento del corpo. Nella Sala dei Cavalieri l’incontro con Elena e Paride indicherà la via per il nuovo mondo verso il quale si intravedono nuove aperture. Le Sirene e i Delfini, Erichto e le Lamie, via per l’Alta Montagna e la Campagna Aperta dove File e Bau, raggiunti in canoa d’aria dal Viandante, subiranno l’ultima violenza.

Poi la Mezzanotte: "Arriva, arriva, arriva /Stelle spariscono, scappan via le nubi./Ora le grigie tirano a sorte/Arriva adesso, è nostra sorella/E’ lei da sola, si chiama Morte!/Faust: Quattro ne ho viste entrare, /solo tre ho visto andare."

La fine di Faust, cieco alla morte, avverrà nel frastuono di un girotondo di Paperi, lontani e vocianti, echi infantili di un uomo che muore. Una Penitente, già Gretchen come indica il poeta, lo accoglierà al passaggio tra la terra e l’etere, seguita dai putti che abitano oggi il Cielo.


IL NOSTRO STREBEN
di Francesco Pititto

L’origine è stata Margherita, per noi Margrete.

Dall’opera monumentale, dal grande affresco della vita e della morte, ho sfilato delicatamente la figura più esile, più corporea, più vicina alla rappresentazione del reale.

Il quotidiano di Margrete fa da ponte al lungo viaggio faustiano verso la magia e l’illusione, verso una forma di bellezza che troverà in Elena la piena ed effimera soddisfazione. L’attrice che ha dato vita a Margrete mi ha aperto lo sguardo dentro lo smisurato paesaggio del grande libro che Goethe ha scritto nel corso di una vita. L’attrice è entrata nel mondo dell’autore con l’unico passato di un testo ritradotto, riscritto e riparlato in altra lingua. Quindi altra musica, altro senso. Soprattutto altra contemporaneità, altro tempo anche se la scena riesce a comprendere tutto il tempo del mondo. L’attrice, unica temeraria in uno scenario continuamente metamorfico, mi ha accompagnato alla conoscenza di quelle figure mosse che Goethe cita nella sua "Dedica" pensando a chi non è più e che per me, invece, costituivano la proiezione futura del nostro lavoro artistico.

Intanto altre Margrete si aggiungevano a questa: le attrici dalla differente abilità del laboratorio integrato di teatro-danza.

E’ arrivato poi Faust e poi ancora lo Spirito della Terra e poi Mephisto e già, in anticipo rispetto all’entrata in scena dell’originale, Filemone e Baucide diventati File e Bau, Elena, nuove entrate come Ifigenia e il Bambino dai Capelli Rossi direttamente dal "Ginepro" dei Fratelli Grimm e così via.

Altri frammenti dell’opera rivisitati sono stati utilizzati dalla drammaturgia per nuove messe in scena: dal laboratorio con gli ospiti della comunità terapeutica di Pellegrino Parmense ai diversi lab per allievi attori e allievi della terza età con esiti sempre intensi e intrisi di nuovo senso. L’affresco frammentato ha ripreso vita e nuovi colori a sollecitare emozioni e pensieri.

Io non sono un traduttore, potrei invece essere un trasduttore, cioè trasformerei l’energia della scrittura in energia sonora, trasdurrei la parola scritta in parola detta. In questo procedimento certamente la fonte primaria rimane il testo originale ma la selezione ritmica e musicale dei versi e delle parole avviene al setaccio di altre traduzioni possibili, tra le quali – nel caso del Faust - quella bellissima di Fortini. Anche la sua però, mi sembra, più per il foglio che per la scena. E poi la sua corre di pari passo con l’intera opera, la mia ruba solo quel che a noi serve.

Ho imparato a leggere il tedesco da Barbara Bacchi nostra autentica germanista e a riascoltarne il suono applicando all’istante una selezione estetico-musicale che si materializza poi nella nostra forma poetica teatrale.

Nei diversi anni trascorsi a tradurre Hölderlin e Kleist abbiamo osato più del concesso per rimanere fedeli alla sonorità della lingua originale anche a costo di rendere fragile il senso della parola scelta. Più fedeli al suono o, nel caso del Faust, al ritmo dell’opera originaria.

Le complessità del linguaggio e della lingua non sono state d’ostacolo alla vitalità nuova che la drammaturgia, da situazione a situazione, metteva a disposizione del lavoro teatrale. Anzi, in alcuni casi, la difficile aderenza tra significato e significante, tra senso e forma poetico-musicale della parola ha trovato più ospitalità tra i nuovi attori con differente abilità del laboratorio integrato – normodotati e disabili intellettivi – che tra gli attori storici del gruppo. A loro merito va la straordinaria capacità di trattenere ogni stimolo creativo e novità linguistica che a grandi quantità i primi mettevano a disposizione della scena.

Nel tempo, anche dopo aver trasdotto diversi Shakespeare, il mio testo ha acquistato una sorta di autonomia dalla scena ma non lo ritengo ancora in grado di camminare sulle sue sole gambe.

E qui torniamo al punto: ho bisogno dell’attore perché è solo per lui che scrivo in questa forma. Che poi il testo lo si possa leggere in altro modo equivale a preferire una parte al tutto. La traduzione, invece, si cimenta con il tutto o perlomeno prima o poi ci arriva.

E’ per questo che non traduco ma trasduco per la scena.

"Voi di nuovo qui, figure mosse
che un giorno al mio occhio siete apparse.
Cerco io, forse adesso, di dirvi "Halt"?
Sarà il cuore mio come i sogni di una volta?
Siete tutte strette a me! Va bene, così sia il potere vostro,
come dai vapori e dalla nebbie a me venite.
Il mio petto si commuove
per il soffio e la magia, da una nuvola voi salite.
Con voi l’immagine sale del sereno giorno,
e di più di un’ombra cara;
come una vecchia, scomparsa saga
il primo amore torna e l’amicizia risale su;
il dolore si fa nuovo, il lamento ricomincia
della vita il labirinto
e conta i buoni che sono via per sempre.
Non ascolteranno più i canti che verranno,
le anime, a loro che ho cantato;
disperso è il gruppo,
spento, ach! il primo contro-suono.
Il mio dolore dilaga verso una massa senza nome,
il suo applauso fa paura al cuore mio,
e quelli che al mio canto erano felici,
sparsi sono per il mondo, se sono ancora vivi.
E a me prende una gran voglia
mai provata, verso questo "Geisterreich", il regno senza corpi
questo mondo senza parole e senza suoni.
Il mio canto - pianissimo -, è come un’arpa dal vento mossa,
ecco! uno scroscio mi prende, lacrimano lacrime,
il duro cuore è leggero e molle;
quel che ho, ormai lontano vedo
e quel che più non ho tocco adesso con la mia mano."

"Dedica", che apre il "Faust-Eine Tragödie", l’ho riscritta così e ogni verso contiene il volto, la bocca, gli occhi e tutto il corpo di un attore o di un’attrice che prima o poi lo staccheranno dal foglio liberandolo in aria, sollevandolo via con un alito vivente.

E così hanno già fatto tanti attori e attrici differenti, diversi nella sensibilità e nei modi dell’espressione artistica, in tanti luoghi come un nuovo volo faustiano tra il mito e il mondo contemporaneo; nei teatri, alla Reggia di Colorno, al Casino di Caccia di Maria Luigia, al Sottocrociera dell’Ospedale Vecchio, al Teatro Farnese, a San Ludovico, allo Spedale di Santa Maria della Scala a Siena e ora all’Onirica, come moderna Cantina di Auberbach, con il Faust 1.

E’ da diverso tempo che si parla di rinascita della drammaturgia contemporanea italiana non considerando le traduzioni per la scena dei classici come testi teatrali originali. Lo trovo profondamente parziale. Penso che ci sia più contemporaneità – e quindi sguardo sulla realtà – nella rivisitazione linguistica di grandi opere e nell’operare trascrizioni che incidano profondamente sulle forme della scrittura di quanto possano contenere gli innumerevoli racconti che parlano dell’oggi con le forme di ieri. Certo con i classici non si inventano nuove trame, intrecci, sviluppi, plot e così via ma quale storia non è già stata scritta? E quale opera classica non necessita di essere di nuovo tradotta? E, in primo luogo, è il teatro che ha bisogno di testi che, antichi o moderni o contemporanei, possano di nuovo ridargli senso in un mondo in cui la complessità è forse più decifrabile con una lirica hölderliniana che attraverso un "coup de théatre".