MELANCOLIA CONTROMANO
note di regia
Il titolo: “Melancolía contromano”. Quello
stato meditativo assoluto, con l’Assoluto, che provoca pensiero
senza confine, che comprime passato presente e futuro, che ci
sospende dalla vita e ci riassorbe in un tutto che il Tutto comprende.
Uno stato psico-fisico in verso contrario, contro senso. Niente
a che vedere con lo stato psichico, previsto dalla psichiatria
di un tempo, considerato uno degli step della psicosi maniaco-depressiva
e che, fino all’inizio degli anni settanta, poteva provocare
ancora un ricovero in manicomio. Per affezione da “malinconia”
appunto.
E’ un documentario, semmai, che risente dell’esperienza
– tutt’ora in corso – con chi dal manicomio
c’è uscito e che contribuisce alla creazione di quello
stato di “Melancolía contromano” necessaria
all’attore per ritrovare il senso del proprio agire artistico.
Tutto il nostro teatro, il teatro di Lenz, è malato di
questo stato.
Il documentario ripercorre, sempre dialogando con la musica creata
da Andrea Azzali, il nostro viaggio da Burgos al Marocco, passando
per Madrid, Cordova, Siviglia, Algeciras, Tangeri, Larache, Meknes,
Volubilis, Fez e Ceuta. E’ un affresco, per immagini filmiche,
creato per la messa in scena de “Il Principe costante”,
ultima opera della trilogia che abbiamo dedicato a Calderón
de la Barca ma che, ricomposto in un montaggio di memoria melancolica,
ha acquisito una sua lieve autonomia. Tranne alcune brevi sequenze
di parlato in diretta non c’è commento off, non ci
sono monologhi e dialoghi ma solo rumori in diretta di onde marine,
di traffico urbano, voci di gente che passa e di bambini che giocano
con gli attori, solo immagini e musica. Abbiamo volutamente privilegiato
l’aspetto del vedere e del sentire, il vero scopo per il
quale volevamo “vivere”, anche se per breve tempo,
i luoghi immaginati da Calderón per il suo Principe Fernando.
I colori, i profumi, la lingua, gli sguardi, la passione, la curiosità,
la disapprovazione e tutto quanto poteva ridarci l’eco della
diversità culturale e religiosa, ma anche della comunanza
dei gesti di rispetto, di riconoscenza, di riscoperta reciproca.
Abbiamo sempre girato in improvvisazione, con gli attori in costume,
vicino a moschee, nella kasba, nei siti archeologici, sulla spiaggia
di Tangeri senza mai avvertire ostilità ma, semmai, curiosità
e partecipazione a un evento inconsueto. Pazienza e costanza,
direi, sono state le caratteristiche di queste incursioni artistiche
sia da parte degli attori-performer sia da parte dei tanti spettatori
occasionali. Come feed-back, alcune sequenze dello spettacolo
teatrale, posteriori alle riprese in Spagna e Marocco, sono state
inserite nel film creando una profonda continuità creativa
tra vissuto e rappresentazione. Questo documentario, della durata
di 70 minuti, è stato realizzato grazie al sostegno della
Regione Emilia-Romagna e inserito tra i progetti speciali 2006
con l’intento di favorire la comune conoscenza e gli scambi
artistici tra paesi europei e paesi dell’area mediterranea,
e il debutto dell’opera teatrale ad Almería, in marzo,
ha rappresentato un ulteriore momento di confronto e di riflessione
sul teatro classico e il teatro contemporaneo.
Fancesco Pititto
Settembre 2006