Nata nel 1973 ad Ashford, nel Kent, dal 2005 ad oggi ha preso parte a molti progetti e ha collaborato con Beta Band, Martina Topley-Bird, Mad Professor, Marc Almond, Marianne Faithfull e David Holmes.
Il suo primo lavoro solista, Notes On: Love, somiglia a un'autostrada abbandonata in mezzo al nulla, una cattedrale diroccata popolata dai fantasmi di Billie Holiday, Bessie Smith e Jeff Buckley. Sa di vecchia radio gracchiante in Billy Steaks, con l'armonica e il country/blues luciferino; parla un linguaggio sboccato in I Want The Impossibile" per poi tornare a incantare con Nothing If Not Writing Time, con l'acustica arpeggiata alla Leonard Cohen e una verve degna di Marianne Faithfull. Si discende sempre più negli inferi con I'm Lying: una chitarra elettrica effettata, la ritmica sospesa e le atmosfere di un film di Tarantino con Smog e Calexico in qualità di guest star. Lo spiraglio di sole arriva con Into My Arms, unica cover del lotto: la difficile impresa di rileggere Nick Cave è del tutto riuscita, con lo strano effetto di sgomberare i fantasmi del passato con un fischiettio alla Otis Redding seduto su tappeti di tastiere celestiali.
Nel 2012 la cantautrice ha inciso il suo nuovo album, Notes on: Death, le cui registrazioni si sono svolte “basandosi sull’elettricità della luna piena”. Molte le influenze e le citazioni: da William Blake a Elizabeth I, da Josh T. Pearson a My Brightest Diamond, da Syd Barrett a Siouxsie Sioux. Notes on: Death è diviso in due parti, "black" e "white", ognuna delle quale bilancia l’altra. Un vero e proprio viaggio dantesco che dalla discesa agli inferi porta la cantautrice alla rinascita. La particolarità di questo concept-album è la vastità musicale espressa. Folk, blues, sperimentazione strumentale. Sorprende la facilità e la credibilità con cui Petra Jean ci trasporta dalle atmosfere noir in stile Kurt Weill del primo disco alle trame ed ai cori angelici della seconda parte. Un lavoro ambizioso e perfettamente riuscito, un’artista che si distacca in modo deciso dalla iper-sessualizzazione dell’immagine femminile in ambito musicale.
- - -
If her first solo album Notes on Love (2005) is a philosophical study of love, in Note on: Death (2012), Petra Jean Phillipson transports us from the noir atmospheres of Kurt Weill to angelic plots and choruses, describing a Dantean journey which from the descent into hell leads to rebirth. Many the influences and citations: from William Blake to Elizabeth I, from Josh T. Pearson to My Brightest Diamond, from Syd Barrett to Siouxsie Sioux. The vastness of the music is striking: folk, blues, instrumental experimentation, distortions and acoustic. From spectral songs, at times menacing, introverted and intense, based on an acoustic minimalism, to more intimate and pastoral tones, in which prevail sweetness and high pitches, with soft folk and ethereal compositions. The artist, who appears on stage in Victorian dress, firmly detaches herself from the hyper-sexualisation of the female image in the music arena, inspired by the legend Lilith (in contrast to Eve). She performs in duet with guitarist (and husband) Matthew N. Hopwood. Born in 1973 in Ashford, Kent, from 2005 to today Phillipson has been part of many projects and has collaborated with Beta Band, Martina Topley-Bord, Mad Professor, Marc Almond, David Holmes and Marianne Faithfull. The mood of her lyrics is black, infernal, like the voice of Robert Johnson and the pages of Edgar Allan Poe: torment, pain and passion. A heartbreaking and magnificent pause, reached in recent time only by Anthony & The Johnsons.