IL MAGICO PRODIGIOSO
di Pedro Calderón de la Barca
Lenz Rifrazioni
regia - Maria Federica Maestri e Francesco Pititto
interpreti: Giuseppe Barigazzi, Giuseppe Imprezzabile, Elisa
Orlandini, Matteo Ramponi, Alessandro Sciarroni, Sandra Soncini,
Barbara Voghera
Il magico prodigioso (1637) fa parte della
categoria dei drammi religiosi (comedias de santos) scritti da
Calderón, secondo la propria interpretazione dell’Antico e del Nuovo
Testamento, ma sviluppato secondo gli schemi di un mistero
medioevale. Per l’importanza filosofica e teologica dei temi
trattati – il libero arbitrio, ad esempio -, la potenza della
devozione verso il divino, il lirismo e l’intensità tragica, la
perfetta costruzione drammatica, la stupefacente invenzione visiva,
quest’opera è considerata una delle più rappresentative del teatro
spagnolo. Il “Magico prodigioso” mette in scena la leggenda di san
Cipriano e di santa Giustina d’Antiochia, martiri della fede
cristiana a Nicomedia nel III secolo. Il dramma doveva essere
rappresentato in occasione delle celebrazioni del Corpus Christi.
Il Faust cristiano, Cipriano, che lotta contro “el Demonio”
rappresenta la scena più vitale del teatro dell’illusione e del
disinganno, delle forze naturali e delle fascinazioni umane. Della
Passione.
Federico García Lorca ha scritto: “Attraverso il teatro di Calderón
si arriva al Faust e credo ci si arrivi attraverso il Mágico
Prodigioso, e così si arriva al grande dramma, al grande dramma che
si rappresenta mille volte tutti i giorni, alla miglior tragedia
teatrale che esiste al mondo: mi riferisco al Santo Sacrificio della
messa.”
Per Lenz Rifrazioni un nuovo streben dopo la lunga ricerca sul Faust
di Goethe e sulla bellezza pura degli attori sensibili, un
avanzamento nell’ostinazione visionaria, un ulteriore
approfondimento drammaturgico sulle pulsazioni ideali, etiche ed
estetiche dell’uomo contemporaneo, dopo la traduzione scenica de La
Vida es sueño.
La realtà delle differenti visioni del mondo naturale e
sovranaturale determina ormai la trasformazione e la conservazione
del pianeta stesso. Theatrum mundi, el Gran Teatro del Mundo.
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BESTIA DA STILE
di Pier Paolo Pasolini
Nuovo Teatro Nuovo - Teatro Stabile dell’Umbria - La Biennale di
Venezia
regia - Antonio Latella
interpreti: Marco Cacciola, Marco Foschi, Giuseppe Lanino, Marco
Martini, Giuseppe Massa, Giuseppe Papa, Annibale Pavone, Mauro
Pescio, Giovanni Prisco, Enrico Roccaforte, Cinzia Spanò, Rosario
Tedesco, Stefania Troise
“Bestia da stile” un testo non testo. Un’opera
teatrale che attraversando frantuma tutte le regole e le forme di
scrittura teatrale. Una sorta di biografia, di testamento, dove lo
stesso Pier Paolo Pasolini, si schiera in prima linea, raccontando
una storia e rivelandosi in questa non storia abitata da un universo
di morti, che vide, nella primavera di Praga, la fine del Comunismo.
Non ci sono personaggi ma solo fantasmi, e la parola prende forma
solo attraverso i ricordi e la morte.
I versi sono vettori di parole, di un’intimità – i versi non possono
essere riprodotti, possono essere solo ripetuti a tutti coloro che
con la propria presenza celebrano il rito teatrale: attori e
spettatori.
La parola deve nascere, venire alla luce, e ogni volta deve essere
detta per la prima volta. L’ESSENZA.
La difficoltà di fare teatro, questo teatro, è sotto gli occhi di
tutti.
I versi, come ci suggerisce la parola stessa, devono andare verso
chi ascolta. Un teatro da ascoltare, forse qui c’è la formula. Una
pura confessione.
La regia è condivisa con i miei amici-attori. La regia è la
comunione necessaria alla ricerca. La regia è di tutti poiché in
tutti noi c’è questo mettersi nudi, per provare ad arrivare allo
scheletro, rinunciando agli orpelli, alle sovrastrutture.
Un teatro fuori dal sipario per provare ad essere condiviso assieme
agli ospiti che verranno ad ascoltarci. Un funerale della poesia,
che vede nella poesia stessa, e nella caverna dietro il sipario, una
possibilità di resurrezione. Quella resurrezione che non è solo
dello spirito, ma è nell’uomo e nel suo struggente esserci. Sempre.
UNA MESSA laica – UN CONCERTO alla luce del giorno – Teatro non
teatro –Gli attori chiamati ad essere parola - piena. In una totale
nudità registica – Il concetto dell’attore/autore non è solo un
concetto, ma è un’idea di teatro.
Il testo di Pier Paolo Pasolini è un’opera d’arte che rompe ogni
regola e convenzione, ogni forma e stile, anzi è un viaggio negli
stili per trovare l’essenza, la nudità del corpo nella parola
stessa. Un unico sguardo non è sufficiente per raccontare “Bestia da
stile”, occorre che lo sguardo sia di tutti coloro che raccontano,
poiché solo così può avvenire una comunione culturale con gli
spettatori.
A volte nell’ossessione di cercare, la paura di trovare il nulla è
tanta, ma proprio questa paura ci aiuta ad accettare la sconfitta,
poiché nella sconfitta non vi è la morte, la sconfitta è l’ altra
possibilità. Ogni volta che c’è una sconfitta c’è una rinascita.
“Bestia da stile” ancora vita e poesia .
Ancora una rinascita, un nuovo incontro, un INNAMORAMENTO.
Un nuovo amore da vivere, da raccontare, da nutrire. Una nuova
strada da seguire, un pensiero, un’idea, un appunto…
Per un Inno al teatro di parola. SACRO – Rito - Poetico. Necessario
e difficile, il solo ad essere, come afferma lo stesso Pasolini,
teatro democratico.
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PILADE
di Pier Paolo Pasolini
Teatro Out Off - regia di Antonio Latella
interpreti: Matteo Caccia, Marco Foschi, Annibale Pavone, Enrico
Roccaforte, Cinzia Spanò, Rosario Tedesco
Una sconvolgente ed interminabile maratona di
versi che tolgono il fiato. Una marcia di lineare musicalità con un
timbro e un ritmo ossessivo, cadenzato dal susseguirsi delle parole,
pari allo stillicidio di una goccia che con vibrante ossessività va
a rompersi sulla pelle dei tamburi. Una rivoluzione di parole che
creano una crepa in tutto ciò che non muta, nella storia che si
ripete con la vergogna prevedibile del potere politico. Una poetica
corsa alla ricerca di una luce da contrapporre alla luce accecante
della ragione. Il grande teatro di Pier Paolo Pasolini è il teatro
di parola.
La parola diventa tutto: armi, architettura; diventa essa stessa lo
spazio teatrale, il luogo scenico della mente dove gli uomini si
fermano ad ascoltare e a riflettere; dove il testo, gli attori,
l’autore, il pubblico, sono messi alla pari; partecipano ad un
grande abbraccio culturale, affinché il rito possa essere ancora una
volta compiuto. Come dice Pasolini nel suo Manifesto teatrale: «Il
teatro di parola non ha alcun interesse spettacolare, mondano, ecc.,
il suo unico interesse è l’interesse culturale, comune all’autore,
agli attori e agli spettatori, Il suo teatro non è e non sarà mai il
teatro del chiacchiericcio, dell’urlo senza ragione d’essere. Una
sfida avvincente che i sei giovani attori che mi accompagnano in
questo viaggio, accettano di affrontare con una totale adesione,
affinché le loro anime possano essere parola, e nella loro mente il
battito del cuore sia così forte da tentare la strada della non
ragione contro la ragione (come fanno i poeti, i folli, gli
assassini).
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PORCILE
di Pier Paolo Pasolini
Nuovo Teatro Nuovo in collaborazione con il Festival di Salisburgo/Young
Directors Project
regia - Antonio Latella
interpreti: Marco Foschi, Giuseppe Lanino, Giuseppe Papa, Annibale
Pavone, Mauro Pescio, Giovanni Prisco, Enrico Roccaforte, Cinzia
Spanò, Rosario Tedesco, Stefania Troise
Ancora una volta subisco l’incanto della parola
di Pier Paolo Pasolini unica e potente. Necessaria. Porcile è il
secondo appuntamento con Pasolini. L’anello che simbolicamente va ad
unire o a far da ponte; tra il primo testo affrontato Pilade e
quello con cui chiuderemo il nostro percorso Bestia da stile. Testi
potenti, vibranti, poiché in ogni verso c’è Pier Paolo Pasolini,
quasi come se fossero un autobiografia, illuminante e allo stesso
accecante, per la cruda verità tramutata in poetica…valanghe di
versi che tolgono il fiato. Un viaggio cominciato da un anno, con i
miei amici di sempre – con cui condivido le scelte degli autori e
dei testi affinchè ci sia adesione totale che ci coinvolge in tutte
le ore e in tutti i giorni.
Così la ricerca si trasforma in discussione quotidiana, assemblea
culturale dove l’incontro e lo scontro, diventano la forza motrice
per la nostra crescita, forse come “artisti” o forse meglio come
artigiani; ma sicuramente come uomini sempre e costantemente in
cerca. Con Porcile Pasolini ci spiazza, ci diverte, ed in qualche
modo ci fa tornare alle origini del teatro fatto per un pubblico
borghese.
In questo testo il poeta volutamente abbandona la potenza evocativa
dei suoi versi, per accettare la sfida di un teatro dai dialoghi
brevi, dalla scansione delle scene, dal tratteggio dei personaggi,
appartenenti al teatro borghese.
Quel teatro da lui stesso messo alla berlina, qui chirurgicamente
esplorato, ingigantito, per cercarne il male, il virus che lo ha
infettato e lo corrode dall’interno, lo rende mostro accecato dal
potere – la grande famiglia che con ostinazione, e con l’inganno
continua a dominare su tutto e su tutti. Ma la rivolta non si è
fermata, con questo testo Pasolini non urla le sue parole fuori
dalle mura del grande teatro; ma le sussurra dall’interno, va dritto
al cuore, al centro della tavola della imponente casa borghese.
Tutto ciò è quel che accade a Julian, il nostro eroe, protagonista
di Porcile. Non basta più urlare sotto le mura di Berlino, con
cartelli che sono solo parole scritte ma presto dimenticate, o
assolutamente fuorvianti, tipo “ABBASSO DIO” … per risolvere il
problema bisogna per esempio per prima cosa accettare ciò che si è,
la nostra nascita. Figli di: “operai, contadini, borghesi” non
dimenticare la radice perché è quella che ci ha fatto essere, e se
la radice è marcia è da lì che bisogna cominciare.
Julian prova tutti i modi per farsi sentire, e la vera rivoluzione
si fa con il silenzio – IL DIGIUNO TOTALE DELLE PAROLE.
Il silenzio destabilizza, fa perdere il controllo, rende impotenti i
potenti, poiché non sanno come, cosa, che colpire.
Alla fine il silenzio si trasforma in verbo, in carne, per essere
divorato ed andare ad annidarsi nel corpo malato di chi ci ha dato
la vita e che ci vuole vedere crescere già morti.
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BIANCANEVE
dai Fratelli Grimm
Lenz Rifrazioni - regia di Maria Federica Maestri
interpreti: Giuseppe Barigazzi, Sandra Soncini, Barbara
Voghera
Seconda opera della tetralogia dedicata da Lenz
Rifrazioni alle fiabe dei Fratelli Grimm, Biancaneve è la
rappresentazione di un rituale di sacrificio. Sopra un altare
naturale di piume bianchissime, un sarcofago organico di memoria
fenicia, innevato da una vetrata altrettanto impiumata, la Mater e
Biancaneve compiono i riti della vita ginecea. Il nano principesco
in funzione di sacerdozio officia la messa naturale con animo
virile.
E subito la neve, bianca e piena di sospiri, si macchia di rosso
sangue. E la piena d’amore, la madre, al primo suo battito muore.
Come resistere alla tragedia che la fiaba comanda? Ubbidendo al
primato imperio di salvezza. Lei, di bellezza regale è più bella,
perché senza specchi, senza pensieri, senza riflessi. Bellezza che
non si guarda, non sospetta, non dubita, né vacilla. Biancaneve
nascente da enigmi chimico-terrestri, da rebus climatici, da
genetiche celesti, è, prima di divenire carne, colore morale, natura
etico-cromatica: nera, di nervatura lignea per verginità
impenetrabile, ah quei suoi capelli scuri e duri come l’ebano
prezioso; rossa, per santità di labbra e guance ardenti di pudore;
bianca, per il freddo viso innevato dalla sua gelida castità. Preda
graziata dal tentato guardiacaccia, che la fioritura prossima alla
cucciola concede, Biancaneve fugge negli arabeschi boscosi entrando
nel dominio dell’antica saga. Nascosta nella tana degli omignoli
divini, eterna senza putrescenza, corpo non corpo, riposa stesa nei
letti degli uomini non uomini, ah quei numerati nani, sette re della
smisura inferiore. Lei rinchiusa nel monastico regno del minus,
riceve i doni per il sacrificio del tempo della vita, un nastro che
le stringe il petto fino a toglierle il respiro, un pettine i cui
denti secernono veleno, una mela imbevuta di malefica pozione. La
regina è sacerdotessa minuziosa del rituale immolatorio, oh
creatura, della natura vergine-bambina, se così vuol restare per
sempre morta deve sembrare. Custodita nella teca di vetro, come
marmorea statua scolpita, in mostra viene esibita per il passaggio
del collezionista principesco, vecchio amante di rari reliquiari e
di necrofilie sentimentali. Il Pigmalione germanico nutrito
dall’antenata passione, smuove il boccone avvelenato senza profanare
il corpo con il bacio. Metamorfosi e prodigi del tempo mortale
ritrovato. Ma un prezzo alla tragedia dall’umano va pagato: eroina
del finale è la regina baccante e menade condannata a danzare fino
all’ultimo respiro con ciabatte di ferro dal fuoco arroventate."
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CAPPUCCETTO ROSSO
dai Fratelli Grimm
Lenz Rifrazioni - regia di Francesco Pititto
Interpreti: Adriano Engelbrecht, Sara Monferdini, Giuseppe
Imprezzabile, Matteo Ramponi, Alessandro Sciarroni
Terza opera della tetralogia dedicata da Lenz
Rifrazioni alle fiabe dei Fratelli Grimm, Cappuccetto Rosso è la
rappresentazione del cammino metamorforfico dell'eroe fiabesco.
Nella scena di vertigini tattilo-cromatiche la bimba rossa sceglie
la deviazione sensoriale per nutrirsi ed essere nutrimento del corpo
scenico sconosciuto.
“Vince nella fiaba il folle che ragiona a rovescio, capovolge le
maschere, discerne nella trama il filo segreto, nella melodia
l’inspiegabile gioco d’echi; che si muove con estatica precisione
nel labirinto di formule, numeri, antifone, rituali comune ai
vangeli, alla fiaba, alla poesia. Crede costui come il santo, al
cammino sulle acque, alle mura traversate da uno spirito ardente.
Crede, come il poeta, alla parola: crea dunque con essa, ne trae
concreti prodigi. Et in Deo meo transgrediar murum.”
Così scrive Cristina Campo ne “Gli imperdonabili”. Gli scritti della
Campo sono diamanti disseminati sui sentieri della parola pura. La
fiaba è ricerca della parola, la parola crea la vita, la parola è
corpo. La parola impone il rispetto, la paura, il ricordo. La parola
fa rivivere il passato. Anche la parola muta parla. Il silenzio
suona. Il vuoto è pieno/pregno di segni. La parola fa vivere i
sogni. La parola è sempre con noi, ci accompagna. Come l’ombra. La
fiaba è un’ombra. Nell’ombra si cela l’anti-materia, l’anti-corpo,
l’anti-parola.La bambina dal piccolo cappuccio rosso trascina le
ombre dei propri timori, dei propri desideri, della propria
differenza. Le ombre sono lupetti d’uomo attratti dall’odore del
Bello. Lupetti inesperti vestiti di rosso guidati dal vecchio lupo
ingrigito. Curiosità, ricerca, caccia alla preda sconosciuta: questi
istinti li muovono. L’ombra si colora di rosso perchè rosso è il
colore del calore. L’immaginario è fuoco che brucia, l’immagine è la
sua lingua di fiamma. Le ombre rosse inseguono, perseguono lo scopo
ambizioso di divenire esse stesse corpo, materia, parola. Implodono
la bimba vestita di rosso ingoiandola nel ventre, nel fondo senza
fondo. La risputano nel mondo trasformata in creatura a loro misura.
Cappuccetto Rosso è adesso l’ombra del proprio Io, mezza donna e
mezzo lupo, mezza luna e piena attrice.
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POLLICINO
dai Fratelli Grimm
Lenz Rifrazioni - regia di Maria Federica Maestri
Interpreti: Elisa Orlandini, Alessandro Sciarroni, Sandra Soncini,
Barbara Voghera
Ultima opera della tetralogia dedicata da Lenz
Rifrazioni alle fiabe dei Fratelli Grimm, Pollicino conduce ad una
visione atomica dell'opera teatrale. Il campo scenico si immisura
nell'inferior, nello spazio nanosferico, nella drammaturgia
batterica, un laboratorio di ingegneria genetica in cui il vibrione
si manifesta eroe del fango e del liquame. Peripezie intestinali,
viaggi gastrici, defecazioni, squartamenti, divoramenti compongono
la drammaturgia plastica della tragedia del bimbo minimo. Fratellino
di Edipo e Filottete, Pollicino è misura tragica della Gloria. Il
luogo tragico in cui è costretto dall'incurabile infezione è
eschatià, un lembo estremo, un residuo plastico trasparente senza
calore e senza colore; Pollicino è eroe paziente di biopsie
permanenti, ineluttabilmente disteso sui vetrini diagnostici del
proprio dolore.
Il minuscolo non ozia ma procede nel cammino pauroso delle prove, le
più audaci. Profezia di nascita imperfetta, il corpo vittorioso di
vita sotto vetro resiste all'avventura nutritiva e all'abbandono.
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CENERENTOLA
dai Fratelli Grimm
Lenz Rifrazioni - regia di Francesco Pititto
interpreti: Adriano Engelbrecht, Sara Monferdini, Elisa
Orlandini, Alessandro Sciarroni
Prima opera della tetralogia dedicata da Lenz
Rifrazioni alle fiabe dei Fratelli Grimm, Cenerentola è la
raffigurazione poetica dell'ordine naturale-morale del mondo.
Nel testo di Perrault le viene dato il nome prima di Culincenere e
poi di Cendrillon. In quello dei Grimm Aschenputtel e in quello di
Disney, Cinderella. Già nel nome s’intende un diverso suono di
appartenenza ai differenti mondi delle cose, dei vegetali, degli
animali e degli esseri umani.
Nella versione tedesca l’apparente crudeltà delle azioni mantiene
intatta la propria appartenenza al mondo naturale, e così facendo
prende le distanze da distorte interpretazioni troppo “umane”.
Trattandosi poi di fiaba le categorie dell’orrido, del sanguinolento
e del mostruoso subiscono inerti la metamorfosi della narrazione
trasmutandosi in leggerezza e incanto, stupore e beatitudine. Come
per le marionette la forza di gravità non costringe troppo a toccar
terra. E se capita è solo per tornare in aria. Allora la matrigna,
il rametto, il cece e la lenticchia, le sorellastre e le uccellette,
l’Angelo della Cenere e il suo Cavaliere, la minuscola scarpina
d’oro, le vasche di plastica e la sala da ballo in pvc diventano
quel Tutto in Uno che solo la Scena può ancora tenere insieme. Come
una Natura non ancora Morta.
La tortorina può allora fare giusta giustizia: può beccare prima un
occhio a ciascuna sorella e, poi, anche l’altro perché sia più
chiaro il concetto: a chi non vede la vera bellezza, anche se
coperta da spessi strati di cenere, non servono gli occhi per
continuare a vedere. E’ un gran finale crudele ma, infine, giusto.
Per i Grimm gli elementi che compongono il Naturale, organico e
inorganico – animali, piante, case, ruscelli, rocce, uomini – sono,
come in un quadro di Bosch, protagonisti alla pari di un paesaggio
comune e di un comune ordine morale.
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GRIMMM
COMPAGNIA LOMBARDI – TIEZZI
testi di Francesco Niccolini
uno spettacolo di Marion D’Amburgo - Giovanni Scandella
Interpreti: Marion D’Amburgo e Andrea Carabelli
Armunia - Festival Costa degli Etruschi - Compagnia
Lombardi-Tiezzi
«Qualcuno avrà notato con quale ipnotica lentezza
battano le ciglia di un bambino che ascolta un vecchio rievocare;
come le labbra si schiudano febbrili, la saliva passi lenta
attraverso la gola. Non è di ilarità la sua espressione, mentre
tutto il corpo si stringe contro le antiche ginocchia. C’è in lui la
tensione immobile degli animali in muta, degli insetti in
metamorfosi; è forse simile agli usignoli in pieno canto che, si
dice, hanno una forte temperatura e il fragile piumaggio tutto
arruffato. Egli sta crescendo, in quegli attimi; sta bevendo con
voluttà e tremore alla fontana della memoria: l’acqua fulgida e cupa
da cui ha vita la percezione sottile». CRISTINA CAMPO Il flauto e il
tappeto
Per fiaba s’intende un racconto fantastico di origine popolare in
cui il meraviglioso e il magico abbiano una parte predominante. I
protagonisti vivono in un infinito che contiene tutto: gioia,
dolore, bellezza, paura, sorte, elezione, colpa. Le loro
vicissitudini lasciano intatto il mistero che sovrintende
l’esistenza. In qualsiasi epoca della vita la fiaba è per l’anima
qualcosa di analogo al cibo per l’organismo. Fiabe e leggende sono
come angeli che accompagnano l’uomo nel pellegrinaggio della vita.
Misterioso è il narratore di fiabe: comincia a raccontare e instaura
un campo magnetico dove converge da ogni lato l’inesprimibile.
Narrare è uno stato amoroso. Rivedo mia madre e con particolare
limpidezza le sue mani. Sono queste che, assieme alla voce che si
perde nella stanza, costruiscono il racconto. M’incanta la sua
gestualità: una sorta di tecnica, un linguaggio teatrale a suo modo
codificato. L’attore, come una madre, evocando il mistero spoglia il
racconto e, rarefacendolo, ne amplifica i connotati emotivi.
Consumato in una assoluta vicinanza con il pubblico, il racconto fa
tutt’uno col corpo dell’attore che, con i suoi paramenti e maschere,
rappresenta attraverso forme visibili ma illusorie una realtà
irreale, un’azione immaginaria.
Un venditore di tappeti entra in scena: è un pover’uomo affamato e
senza un soldo. Come da copione, mostra la sua mercanzia nell’attesa
che arrivi il suo padrone, un attore. Comincia a srotolare i suoi
tappeti: tutto deve essere pronto prima dell’arrivo del padrone.
Agitato, corre inciampa si confonde nella preparazione dello spazio
scenico, poi tutto si placa: ecco l’attore tragico avanzare, lento,
solenne. È un padre disperato per la sua misera condizione e per la
sorte dei suoi figli. Incontra Dio, il Diavolo e poi la Morte. Il
patto con quest’ultima dà ricchezza e fama al suo ultimo nato ma,
rotto l’accordo, la Morte s’impadronisce del destino del giovane
uomo. Una volta che questa si allontana lasciando cadere la sua
maschera, il servo la raccoglie e si lascia vincere dal suo
desiderio più segreto: vuole essere anche lui un attore. Eccolo
dunque presentarsi nei panni di un ipotetico Arlecchino mentre
l’altro, travestito, lo mette alla prova facendolo esibire in un
vertiginoso scioglilingua. Così inizia Grimmm, spettacolo che prende
spunto da tre fiabe: Comare morte, Gianni testa fina e Biancaneve,
tre occasioni per elaborare una sorta di macchina del racconto : una
dimensione in cui il teatro rappresenta, attraverso forme visibili
ma illusorie, una realtà irreale, un'azione immaginaria.
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FAUST MEMORIES
PROGETTO FAUST - LENZ RIFRAZIONI
da Urfaust Faust 1 Faust 2 di Wolfgang Goethe
Lenz Rifrazioni - regia di Maria Federica Maestri
Interprete: Sandra Soncini
In FAUST MEMORIES Lenz Rifrazioni ritorna alla
trilogia faustiana, al grande affresco goethiano che ha scandito per
tre anni la produzione artistica e teatrale della compagnia.
Molteplici sono stati gli incontri sulla via della ricerca poetica e
tanti i luoghi di questo viaggio di conoscenza: gli attori
sensibili, una nuova estetica visionaria e materica, scene naturali
del mondo contemporaneo – il Teatro Farnese, la sala da ballo, la
villa Maria Luigia nel bosco dei Carrega, il paese di montagna, la
Reggia di Colorno, lo spazio industriale di Lenz Teatro. Tante
"figure mosse" che ancora animano il ricordo della ri-creazione di
un’opera romantica che ancora vive, di un’opera che risuona di echi
antichi provenienti da storie leggendarie: "Della vita pulsano le
vene neonate/L’alba dell’etere dolci salutano./Tu, Terra anche
stanotte sei rimasta com’eri/".
La drammaturgia di FAUST memories concentra in un assolo monologante
lo streben, la furia faustiana del sapere, ciò che la smisurata
Natura ancora nasconde, ancora risparmia all’uomo.
Il Monologo, che assume in sé tutti i dialoghi che Faust recita a se
stesso nel lungo volo di una vita – Urfaust, Faust I, Faust II -,
compie il rito del ritorno, del volo all’indietro che porta verso il
futuro. Un prossimo nuovo Faust attende, infatti, Lenz Rifrazioni
nella figura di Cipriano, del testo di Calderón "Il Mago
prodigioso". Magia e meraviglie risvegliano il teatro del presente
ma è di nuovo l’uomo, nella sua incommensurabile differenza, che più
affascina il nostro tempo. Goethe vide, da giovane, un Puppenspiele
sulla leggenda di Faust il Mago e le marionette gli misero tra le
mani l’anima stessa dell’opera futura. La Marionetta, l’Angelo, lo
Spirito del Tempo, Donald Duck saranno, per Lenz Rifrazioni, gli
eroi parlanti di queste FAUST memories.
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MORTE COME INIZIO - LA NASCITA E’ UN DEBUTTO PREMATURO
anteprima nazionale
GABRIELLA RUSTICALI
Testi da Carmelo Bene, Azzurra D’Agostino, Sylviane Dupuis,
Ludwig Feuerbach, Mariangela Gualtieri, Eugenio Montale, Nino
Pedretti, Fernando Pessoa, Silvia Plath.
La necessità di toccare un tema così insondabile come la morte,
nasce prima di tutto dalla perdita di mia sorella alimentata anche
da altre due perdite importanti, compagni di vita che prendono
all’improvviso un’altra strada, dolore sordo, solitudine che
accompagna, e spinta vitale è il celebrare la vita tutta, il vuoto
che contiene ed avvolge.
Vuole essere un tributo al generare, il mutare. Il nostro tempo ne è
assetato, e non si beve si semina morte come intercalare.
Il dominio sull’avvenire, il governo del movimento.
Morte elemento di vita, sempre più presente e sempre più negato.
Morte è l’Inizio.
Desiderio: percorrere la morte, svelarla, rivelarla.
Guida il mistero, l’intuizione del sacro: ciò che é nascosto non si
comprende.
Abbiamo solo questi occhi per vedere e non bastano.
Parto da me risonante, dal ( non – morto ).
Parto da un testo scritto inteso come morto orale.
Parola corpo di memorie libere, pensieri presenti e possibili.
Parola evocativa: appena detta già non è più.
Parole messe a fuoco e bruciate. Porto con me parole che vibrano
senza tempo, in uno spazio finito, sul nascere di un suono sempre
nuovo.
Non si vuole raccontarla, la morte, tanto meno raccontarsi, la
lingua sarà visionaria con più direzioni.
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PUPA REGINA OPERE DI FANGO
di Franco Scaldati
ATTORI INSIEME - MARION D’AMBURGO - LUCIA RAGNI
Interpreti: Marion d’Amburgo, Lucia Ragni, Rosario del Duca
Franco Scaldati è uno degli esponenti europei del
Teatro di Poesia. Si afferma alla fine degli anni settanta con il
testo “Il pozzo dei pazzi”; Scaldati, drammaturgo regista , non si è
mai fermato su stesso, sviluppando nell’ultimo decennio della sua
lunga attività una fase nuova della sua ricerca teatrale in cui la
drammaturgia coincide con gli spazi nuovi, da lui esplorati e
vissuti con il suo ensemble di giovani attori. Il Giardino dell’Albergheria
di Palermo è sede naturale del suo ultimo Teatro, quello che lui
stesso definisce d’Incantamenti. “Pupa Regina opere di fango”,
scritta nel febbraio del 2003, è un’opera che evoca le atmosfere
sommerse del Giardino dell’Albergheria. Due fili trainanti del testo
mistico e melodioso di Franco Scaldati, scena e sentimenti sono
bilanciati da pesi antichi e immutabili: il giardino antico e i suoi
personaggi, Pupa e Regina, modellano forme e orme del testo. Scena e
sentimenti vengono rappresentati e narrati dalla cadenza superba del
ritmo, pronto all’orchestrazione in quartine ed ottave. Franco
Scaldati con “Pupa Regina opere di fango” riscrive a partire dalla
tradizione e dalla sua realtà culturale un nuovo teatro le cui
azioni rivivono su una scena, vibranti nella voce – strumento
dell’interprete. Il canto è tangibile, s’intreccia in melodia e la
voce dell’interprete diventa suono di visioni e visioni di suono. Il
canto – lingua di Scaldati è il veicolo che conduce lo spettatore
dentro l’occhio dell’attore, interprete delle sue paure, delle sue
certezze, fragili ed eterne, delle sue tristezze e della sua muta
disperazione della vita, dentro dunque una performance inevitabile.
Ritmo e musicalità tessono una partitura aperta e scandita, fatta di
parole già note e di note e in sé parole e immagini. L’azione
narrata da Scaldati è fluido che inonda il “giardino antico”
metafora sul teatro che è per l’autore ora più di prima, luogo delle
immagini irreali, dove le anime assumono voce e corpo, dove non
vivono per memoria di vivi, ma nella narrazione da loro stessi
evocata. L’immagine-scena nella quale si muovono le due
protagoniste, Pupa e Regina, è una visione già pronta di sensi e
emozioni che raccontano azioni congelate dalla memoria e vissute dal
ritmo delle voci. Teatro di voci è il teatro di Scaldati, un teatro
che supera il Teatro di Poesia. Alla musica, alle immagini e alla
parola si intrecciano scene di incantamenti: voci racchiuse in una
bolla di lacrime che sgocciolano lentamente secondo un ritmo
ineffabile che vibra nella coscienza dello spettatore. Pupa e Regina
si raccontano in un giardino che racconta tentazioni e desideri
spenti nell’anima. Il concetto della morte che duella senza pudore
con anime che desiderano vivere nonostante il silenzio della vita.
La lingua di Scaldati è struggente, profonda, intensa, tersa,
chiara, luccicante, emozionante, popolata di menti colme di sensi
seppure fermate, armate e amate. I due personaggi nel ritmo
linguistico di Scaldati appaiono anime in movimento, verità, entità
senza tempo, oltre il tempo e scena per eccellenza. Tra Pupa e
Regina si consuma un omicidio? Un atto d’amore? Si svelano alla fine
e l’incantamento è immediato, lo spettatore scopre che forse egli
stesso è Pupa o Regina, o Pupa e Regina insieme.
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FÀBRICA NEGRA
da Juan de la Cruz
Lenz Rifrazioni - regia di Francesco Pititto
interprete: Sandra Soncini
La Fabbrica nella costruzione retorica e poetica
di Calderón - la fábrica gallarda del universo – e il Nero che
scolora i percorsi dell’eros mistico di Juan de la Cruz nello scuro
e nell’oscuro dell’ascesi conoscitiva. Un corpo femminile penetra lo
spazio della Grande Sala pregna dei segni della creazione artistica.
Nella sua assoluta nudità il corpo umano in-cella la densità del
verso poetico di Juan de la Cruz, la aggioga, la colpisce con il
muscolo potente dell'umano in essere. Nella geometria rigorosa del
movimento, la tensione ascetica della parola si dispone sul campo
spaziale come una meccanica algebrica dell'inconoscibile: matematica
di Dio. “Mi calmai, mi dimenticai/il viso piegai sopra l’Amato/cessò
tutto, e mi coricai/lasciando la mia cura, di me/tra i gigli
dimenticata.”
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JACK E IL FAGIOLO MAGICO
LAMINARIE
Drammaturgia e regia - Bruna Gambarelli e Febo Del Zozzo
Laminarie - Arcigay il Cassero
Interpreti: Livia Gionfrida, Patrizia Comitardi, Matteo Ripari,
Samuela Bacchereti, Maurizio Mantani, Alice Padovani, Federica
Rocchi
Per ora mi limito a indicare
la poeticità, la spontaneità,
la bellezza e il senso di verità
profonda della fiaba,
l’allegria, la vivacità, la brillante
acutezza; essa è un
misto di ingenuità infantile e
di profonda saggezza.
Vladimir Ja. Propp
In Jack e il fagiolo magico si esplora il
linguaggio della fiaba popolare, lavorando sul suo elemento
fondamentale: il percorso. Seguiamo il protagonista in un viaggio,
conosciamo già la destinazione, ma vogliamo comunque procedere,
verificarne tutte le tappe, dalle difficoltà iniziali, alle prove da
superare.
L'urgenza della fame spinge Jack a cercare una soluzione in un altro
mondo, che si può raggiungere solo salendo lungo la pianta di
fagioli.
Jack supera per tre volte le prove, vince la paura dell'orco e viene
ricompensato generosamente. Nelle fiabe non c'è mai delusione: si è
sempre esauditi. I desideri si avverano grazie ad una serie di
azioni concrete che risolvono la situazione. Jack riconquista la
fiducia della madre, grazie a lui non soffriranno più la fame.
Forse è diventato adulto, certo non potrà più tornare nel mondo
delle nuvole perché, c'è stato detto, la pianta non germoglierà più.
Lo spettacolo entra in stretta relazione con gli spazi
architettonici che lo ospitano, reagendo a diversi ambienti (esterno-interno,
reale-astratto). La narrazione fa uso di materiali video eterogenei
tratti dal repertorio del cinema delle origini, di animazioni e non
solo, montati per vedere la crescita della pianta di fagiolo e il
Paese delle Nuvole.
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LA PRIMA FIABA DI
PIERLUIGI BACCHINI
Lenz Rifrazioni - regia di Francesco Pititto
Interprete: Elisa Orlandini
“Un tempo il poeta era là per nominare le cose:
come per la prima volta, ci dicevano da bambini, come nel giorno
della Creazione. Oggi egli sembra là per accomiatarsi da loro, per
ricordarle agli uomini, teneramente, dolorosamente, prima che siano
estinte. Per scrivere i loro nomi sull’acqua: forse su quella stessa
onda levata che fra poco le avrà travolte.
Un parco ombroso, il verde specchio di un lago corso da bei germani
dorati, nel cuore della città, della tormenta di cemento armato.
Come non pensare guardandolo: l’ultimo lago, l’ultimo parco ombroso?
Chi oggi non è conscio di questo, non è poeta d’oggi.”
Ancora Cristina Campo per dire del nostro tempo, ancora lei per dire
della Fiaba e della Poesia.
“L’attenzione è il solo cammino verso l’inesprimibile, la sola
strada al mistero. Infatti è solidamente ancorata nel reale e,
soltanto per allusioni celate nel reale, si manifesta il mistero. I
simboli delle sacre scritture, dei miti, delle fiabe, che per
millenni hanno nutrito e consacrato la vita, si vestono delle forme
più concrete di questa terra: dal Cespuglio Ardente al Grillo
Parlante, dal Pomo della Conoscenza alle Zucche di Cenerentola.
Davanti alla realtà l’immaginazione indietreggia. L’attenzione la
penetra invece, direttamente e come simbolo – … Essa è dunque, alla
fine, la forma più legittima, assoluta d’immaginazione.”
Nominare e leggere su molteplici piani la realtà delle cose. Pier
Luigi Bacchini ha scritto una fiaba che porta un titolo ancora
provvisorio - “L’Orto” -, l’ha scritta per il festival Natura Dèi
Teatri al suo nono anno di vita. E’ la prima fiaba, richiesta o
stimolata, poiché già latente, sperimentale, nuova e perciò
misteriosa.
I cerchi nell’acqua degli ultimi haiku hanno prodotto un movimento
imprevisto, l’acqua ha tracimato l’argine del foglio. “La scrivo
pensando al teatro, a come verrà detta, al suono della voce che
racconta”: anche questa attenzione fa parte del compito poetante.
Pier Luigi è considerato uno dei maggiori poeti italiani viventi, ha
pubblicato con diverse case editrici, ha ricevuto riconoscimenti e
premi prestigiosi e, dal 1996, accompagna edizione dopo edizione la
crescita di questo “parco ombroso”che abbiamo voluto nominare
“Natura Dèi Teatri”. Ogni anno, a fine estate o ad inizio autunno
qualcosa accade nel paesaggio delle cose, ritorna la realtà intorno
a noi, la verità in figure. Il poeta scioglie e ricompone quelle
figure, media tra l’uomo e il dio, tra l’uomo e l’altro uomo, tra
l’uomo e le regole segrete della natura.
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BW: FOLKLORE MARZIANO
speaker e regia - Michele Di Stefano.
interpreti: Biagio Caravano e Laura Scarpini... + intrusi
A tal punto il corpo scenico è scosso dalla
produzione di senso che proviamo a codificare ulteriormente per
disispessire questa materia. Amplificare - simulare - elettrizzare -
sovraesporre - parodiare - riferirsi arbitrariamente ad un nome, ad
una selezione innaturale o ad una didascalia: la simulazione di una
necessità di discorso.
Pure, nell’applicazione folle, il corpo sospende e comprende: trova
una chiarezza di linguaggio che è un luogo fra il prima e il dopo,
che è il presente e il presentimento = l’enigma.
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