Alessandro Manzoni e Giuseppe Verdi - Requiem di passione
Il 22 maggio 1873, a ottantotto anni, muore a Milano Alessandro Manzoni. Verdi non partecipa al funerale il 29 maggio ma nello stesso giorno scrive a Clara Maffei: "Ai funerali io non ero presente, ma pochi saranno stati in questa mattina più tristi e commossi di quello che era io, benché lontano. Ora tutto è finito! E con Lui finisce la più pura, la più santa, la più alta delle glorie nostre. Molti giornali ho letto. Nissuno ne parla come si dovrebbe. Molte parole ma non profondamente sentite. Non mancano però i morsi. Persino a Lui! ... Oh la brutta razza che siamo!"
Pochi giorno dopo offre di "mettere in musica una Messa da morto". Dedicato a Manzoni, è il requiem per tutti gli uomini che hanno creduto, sperato, lottato, il requiem per un ideale che la realtà sembra respingere o dimenticare. Una meditazione sulla morte in cui il tema tante volte affrontato nella finzione teatrale si fa universale. Nel riposo della morte esce l'ultimo personaggio della tragedia: "l'Uomo verdiano, con la sua intransigente moralità, con le sue aspirazioni tradite, vinto e tuttavia superiore al mondo."
Come un grande affresco degli ideali di tutta una vita, Verdi ripropone la sua incrollabile visione del mondo. La morte, come scrive il Mila era sempre stata presente nelle sue opere: «E' una specie di ferro del mestiere drammatico, un ineluttabile evento naturale che, come necessario deus ex machina, viene a tagliare i nodi e a risolvere le intricate situazioni in cui tutti gli uomini si sono cacciati per effetto delle loro passioni.
Molti sono i nodi che caratterizzano la vita degli attori di questi "Promessi Sposi", alcuni sono già stati tagliati nel corso di questi dodici anni di pratica artistica comune e molti sono ancora strettamente intrecciati tra la storia di ognuno e il presente che trae la propria energia da una passione ripetuta di riscatto e reincarnazione. La presa di possesso dei personaggi manzoniani da parte di questi "magnifici umili" diventa una contemporanea rivolta del pane e una ribellione all'oblìo, una pestilenza benefica che costringe alla malattia dell'uguaglianza e alla misericordia dell'attore tragico, di intransigente moralità come l'uomo verdiano.
Melodramma e romanzo si intrecciano nelle ricostruzioni di vite vissute per davvero, personaggi manzoniani e verdiani si sovrappongono e si fondono tra identità perdute e ricostruite su di un canovaccio personale che ritrova percorsi comuni, identiche epifanie e uguali sofferenze in un unico grande affresco di verità e rappresentazione.